ODORE E SENTIMENTO di Michele Campanella
É pregnante!
Lo insegui, come se lo vedessi, ne ricerchi la fonte, l’origine.
E mentre ne provi a determinare le coordinate fisiche, cercando di dare consistenza reale a qualcosa che ti sembra impalpabile, intanto, il cemento armato, sta lasciando spazio a blocchi di tufo, l’ascensore ritorna ad essere una scala dai gradoni alti, scomodi da salire, ma ottimi per giocare, i tristi vicini di condomino diventano una folla di cugini, zii, conoscenti, gente che non vedevi che una volta l’anno e di cui, a volte, dimenticavi anche il nome, ma che (senza che tu te ne rendessi conto) ti riempivano l’estate, rendendola vera e da lì in avanti indimenticabile.
Tutto si affolla, annegato in una luce abbagliante, estiva, con un rumore di fondo costante, fatto di cicale e trebbiatrici (non di auto, per carità!), di voci, strilli, pianti e risate, di orchestrine improbabili e di cantanti assolutamente sconosciuti, di canzoni (canzoni?) mai sentite e mai più riascoltate, tutto insieme, condito da quell’odore...pregnante!
Un miscuglio di adolescenza pulsante e di anni lontani mai dimenticati.
Tutto scatenato da un sottile odore, quasi un olezzo, improvvisamente giunto alle tue narici.
Tutti i ricordi vengono sovrastati, quasi cementati, da quell’odore, che provvede poi (ma come è possibile?) a generarne altri mai più sentiti.
Odori di ingredienti trasformati in piatti semplici, apparentemente dimenticati, ma rimasti scolpiti nella memoria. Piatti che, all’epoca, mangiavi svogliatamente, senza neanche coglierne i singoli elementi e che oggi vorresti riavere davanti a te a qualsiasi costo.
Perché?
Per l’età in cui li assaporavo o per la loro sostanza?
Per il loro essere ormai distanti nel tempo, parte essenziale di una personale età dell’oro, o per essere completamente altro da quanto costretto a mangiare oggi?
Poi, di colpo, ti risvegli. Forse uno squillo di cellulare, forse qualcos’altro, comunque un suono inatteso e certamente improvvido ti fa ripercorrere più di trent’anni in pochi millesimi di secondo.
Con un dolore che non c’è, ma che tu avverti distintamente, che ti sembra quasi fisico e lancinante, il quadro a tinte forti ritorna ad essere un acquerello sbiadito, il cemento riconquista il suo territorio e la fonte della tua fantasia torna ad essere quello che era e che sempre era stato.
Un banale, insignificante . . . spicchio di aglio soffritto.
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